I Paolucci a Pienza
Esiste da tempo una
narrazione della Val d’Orcia che continua da
ben oltre mezzo secolo e che si esprime nell’arte figurativa, nella
rappresentazione teatrale, nella letteratura popolare. Sono parte di questa tradizione
coloro che, con una definizione tipicamente novecentesca si possono definire
così : I Paolucci. Ora è difficile negare che a Pienza I Paolucci costituiscano artisticamente un ‘unicum’
diversificato nei paradigmi, ma profondamente unito nello spirito, se non più
semplicemente nel lavoro portato avanti nella stessa bottega.. In ogni caso è
un fatto ormai acquisito e visibile nella storia artistica di questa piccola
città e della Val d’Orcia, l’esistenza
di una tradizione familiare chiamata
Paolucci, iniziata con Aleardo negli anni
Trenta legata alla pittura, sviluppatasi
dopo la seconda guerra mondiale, proseguita nel tempo del boom economico e
delle avanguardie fino agli anni Ottanta e Novanta con l’ingresso di Enrico nella
bottega, proiettatasi nel nuovo secolo negli
anni Zero, come si sogliono definire questi nostri indecifrabili e difficili
anni. Da Aleardo a Enrico ecco che ‘I Paolucci’ si sono costantemente tenuti
vicini a questo nostro mondo, a questo nostro paesaggio, a queste nostre
narrazioni, con il rispetto, la passione e l’ammirazione di chi
ha considerato e vissuto l’ambiente e la
storia dei luoghi quale materia essenziale di ispirazione. Oggi, per la prima
volta, in senso pienamente consapevole le opere e il percorso dei Paolucci sono divenuti oggetto di una Mostra
che segna una pietra miliare nella storia di questa famiglia pientina; parlo di storia artistica, ma anche di storia
civile. Una Mostra nella quale per la prima volta si è cercato di ricostruire
la vicenda di una bottega d’arte, di un laboratorio, quello di Beccacervello, casale
che è anche il ‘ genius loci’ di una tradizione artistica. Questo luogo dove
abitano e vivono da sempre’ I Paolucci’, vide oltre un secolo fa la presenza
occasionale di un grande pittore futurista vissuto da bambino a Pienza, Gino
Severini e la presenza abitativa di una
pittrice purista toscana di grande valore legata alla storia della Città: Romea
Ravazzi, detta familiarmente la Zia Remy. In questa casa fu spesso ospite e
collaboratore di Aleardo, Mario Luzi con
l’amico pientino professor Leone
Piccioni, entrambi cittadini onorari di Pienza. Il laboratorio di Enrico
Paolucci, rimasto purtroppo privo del padre alcuni anni fa, non ha mai perduto
il suo fascino e la sua vitalità dopo la perdita del fondatore, ma ha trovato nel lavoro artistico
di Enrico, iniziato oltre trenta anni orsono
accanto al padre, una continuità feconda, tale da potersi definire nella sua
assoluta originalità un genere di pitto-scultura contemporanea, che ha scelto la cartapesta quale materia
privilegiata del suo lavoro, così come Aleardo aveva a suo tempo scelto la
classica tela. Se Enrico avesse deciso di dipingere su tela, sarebbe stato naturale pensare ad una trasmissione
dell’arte paterna, ma trattandosi di un genere completamente diverso, che vanta pure essa una tradizione antica nella
storia dell’arte sacra senese, occorre riconoscere che, se l’humus artistico e
rappresentativo su cui ha germogliato la sua arte è quello della Bottega
Paolucci, il risultato del suo lavoro appare assolutamente nuovo, dotato di una
carica poetica originale, che trova
l’ispirazione nella stesso paesaggio, ma
che appare capace di distaccarsi da
esso, percorrendo strade nuove e aprendosi a temi propri dei nostri giorni. In
questa Mostra Enrico Paolucci ha voluto onorare la memoria di Aleardo, proponendo una retrospettiva riassuntiva del linguaggio più
amato e noto del padre,
accostandovi in modo simbolico alcuni esempi del proprio universo
pitto-scultoreo che ad esso si ricollega, sviluppandolo su piani diversamente
concepiti e diversamente interpretati. Un’ unione ideale dello spirito della ‘Bottega d’arte’
dove tutto è nato, modificandosi e sviluppandosi dietro l’incedere delle stagioni culturali e
del tempo. In questa bella Mostra ‘I Paolucci’ hanno potuto ritrovarsi,
seguendo una logica storico-familiare ragionata, riordinando l’ ispirazione
poetica attorno ad alcuni motivi originali,
rendendo visibile e splendente una sorta di materia archetipica familiare, una narrazione
del tempo che passa inesorabile, ma che nella bottega dei Paolucci sembra
talvolta essersi fermato, per poi ripartire
nella spinta creativa di Enrico, oggi conosciuta e apprezzata in Italia
e all’estero. Enrico Paolucci ha portato avanti una ricerca originale ed
affascinante sul colore, prendendo in esame i cromatismi naturali del paesaggio
valdorciano con le sue materie primarie:
l’argilla delle Crete senesi, il color ocra della Terra di Siena, il chiarore
pallido delle biancane, il verde dei seminativi nudi, il marrone scuro della
terra lavorata dopo le piogge autunnali, il verde scuro dei boschi e quello argentato degli ulivi. Recentemente ha
recuperato l’uso nelle sue
pitto-sculture del colore tipico del fondo-oro dei pittori
antichi senesi. Una ricerca attenta della tradizione iconografica delle nostre
pievi e delle sepolture antiche ha spinto Enrico Paolucci a eleggere a simbolo
della Valdorcia un bestiario antico,
dove risplendono le figure stilizzate di
alcuni animali: il cinghiale, il gatto
selvatico, il gallo, la civetta, il gufo, l’upupa, insieme ad una varietà di
grandi pesci variamente dipinti, tutti elementi simbolici di un’antica
tradizione culturale, religiosa e civile, che da sempre ha alimentato il fantastico medioevale e le narrazioni della cultura contadina locale. Seguendo un’ispirazione
rivolta anche all’ osservazione della vita contemporanea, sviluppando i temi
dell’amore e della ricerca della gioia condivisa, Enrico Paolucci ha affrontato
anche una tematica delicata e poetica popolata di figure in movimento
con una esplorazione del mondo e della vita dei caffè, dei pub e dei luoghi mondani amati dai giovani , alla ricerca
di musica, di svago, di emozioni. Sono nati
così dei pannelli narrativi di suggestivo aspetto.
Dunque, in questa significativa
e puntuale Mostra su I Paolucci a Pienza non
è soltanto narrata ai pientini
gran parte della loro storia del Novecento, ma è rappresentato anche l’avvio
della nuova Era dell’accesso, con un’
attenta ricerca delle sue fascinazioni e
dei suoi miti, degna della nostra migliore tradizione artistica.
Fabio
Pellegrini
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