Covid, ecco la dieta che può ostacolare il virus
ROMA - Sgombro, salmone, tonno, acciughe e pesce spada possono ridurre il rischio di mortalità da Covid, in quanto gli acidi grassi polinsaturi - in particolare gli omega 3 e omega 6 - avrebbero una doppia azione che può ostacolare l'ingresso del virus nelle cellule. pericolosa risposta infiammatoria dell'organismo: è quanto suggerisce uno studio della Universidad La Salle di Città del Messico pubblicato su Molecules.
"Per invadere il nostro organismo il Sars-Cov-2, attraverso la proteina spike che costituisce gli 'ombrellini' che formano la corona del virus, si lega ai recettori ACE2 delle nostre cellule. Perché questa invasione abbia successo, la proteina spike deve trovarsi nella sua forma "aperta". Alcuni studi hanno già suggerito che un acido grasso polinsaturo, l'acido linoleico, può invece stabilizzare la proteina spike nella sua forma "chiusa", e ciò riduce la capacità del virus di invadere le cellule" spiega a Repubblica Marco Loza-Mejia, ricercatore in Chimica alla Universidad La Salle.
"Noi siamo partiti da questi risultati, che suggeriscono come un prodotto naturale presente nelle nostre diete possa attenuare gli effetti del virus, e abbiamo ipotizzato che anche gli altri acidi grassi polinsaturi (detti PUFA) possano ostacolare l'azione del virus". Il passo successivo, per i ricercatori messicani, è stato investigare sul tasso di mortalità del Sars-Cov-2 nei Paesi dove i PUFA sono più presenti nella dieta. "Abbiamo visto che Giappone, Corea del Sud e i Paesi della regione Pacifica occidentale sono i Paesi dove si assumono più omega 3. Andando a vedere i tassi di mortalità da Covid riportati nel mondo, abbiamo trovato una correlazione tra l'alto consumo di omega 3 e un tasso di mortalità inferiore alla media. In particolare abbiamo visto che nelle regioni del Mediterraneo Orientale c'è un alto tasso di fatalità da Covid (3,52%) e il minor apporto di omega 3 da animali marini (45,14 milligrammi/giorno), mentre nel Sudest Asiatico si ha il più basso tasso di fatalità (1,01%) e il più alto consumo di omega 3 (634 milligrammi/giorno)", spiega Loza-Mejia.
"Per esplorare più a fondo l'ipotesi che stava prendendo corpo sui potenziali effetti degli omega 3 contro il Covid, abbiamo elaborato una simulazione al computer per analizzare gli effetti degli acidi polinsaturi omega 3, e tra questi in particolare degli acidi DHA (acido docosaesaenoico) e EPA (eicosapentaenoico), presenti nei pesci grassi". La domanda era: possono questi acidi ostacolare l'ingresso del virus nelle cellule come succede già per l'acido linoleico? "Il responso della simulazione computerizzata è stato che anche gli acidi DHA e EPA favoriscono e rendono stabile la "chiusura dell'ombrellino". Quando l'ombrellino è chiuso, diminuisce la capacità del virus di riconoscere i recettori delle cellule e cui legarsi, e così per il virus diventa più difficile invadere le cellule" aggiunge Loza-Mejia. "In più, sappiamo già che gli omega 3 hanno proprietà antinfiammatorie. I soggetti che vivono nei Paesi dove si consumano più acidi omega 3, hanno un minore rischio di disturbi infiammatori come la malattia di Crohn (un'infiammazione cronica dell'intestino) e la colite ulcerosa. Anche questo secondo aspetto delle proprietà antinfiammatorie degli omega 3 è importante in chiave anti-Covid, perché le forme più gravi sono caratterizzate da una risposta infiammatoria eccessiva del sistema immunitario: la cosiddetta "tempesta di citochine" che danneggia il tessuto dei polmoni".
Il nuovo studio potrebbe dare indicazioni sia per la prevenzione che per la terapia del Covid. "Nella stessa settimana in cui l'abbiamo pubblicato, un gruppo di ricercatori del Karolinska Institutet ha iniziato uno studio clinico che prevede la somministrazione di acidi omega 3 su pazienti Covid positivi", fa notare Loza-Mejia. "Inoltre un gruppo di ricercatori californiani ha riportato di recente che i pazienti Covid con livelli più alti di omega 3 nel sangue hanno anche un minore rischio di morte rispetto agli altri. Credo che a questo punto sia necessario uno studio su vasta scala per esplorare più approfonditamente questi risultati che stanno emergendo da più parti". Anche all'Università del Messico si sta preparando uno studio clinico in questo senso.
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