sabato 25 febbraio 2017

Recensione del libro.

‘Racconti Pientini’  di  Gilberto Ravagni




Il Prof. Gilberto Ravagni, ovvero la  memoria storica pientina di questo tempo, il testimone vivente del Novecento, che meglio di ogni altro ha cercato di interpretare un secolo complesso e ricco di avvenimenti  nella nostra  Comunità, ha compiuto un  piccolo miracolo di letteratura memorialistica. Ha scelto il profilo popolare, ha privilegiato il registro del lessico familiare, è partito da storie quotidiane e dalla rievocazione di personaggi, che molti di noi spesso non hanno mai conosciuto, ma che hanno popolato  i nostri sogni e le nostre veglie lontane.  Il suo sforzo narrativo parte dal punto più lontano della storia della Comunità e finisce per giungere molto vicino a noi, soprattutto alla nostra comune tradizione narrativa, fatta di aneddoti, di atmosfere, di personaggi che non saranno mai dimenticati, perché sono divenuti con la loro caratteristica personalità, le icone del nostro passato  e ora anche del nostro presente.
Il libro oggi presentato ha prima di tutto questa caratteristica e mira esplicitamente ad un obiettivo chiaro e riuscito: la ricostruzione di atmosfere.  Credo che da un punto di vista narrativo, questa operazione sia la più difficile ma, come dimostrato, non lo è affatto  quando a raccontare è colui che a queste atmosfere è sopravvissuto senza mai  cancellarle dai suoi ricordi.  Il Prof. Gilberto Ravagni  riesce pienamente nell’intento di raccontare, restando fedele al suo  naturalistico ritmo narrativo. Lavorando sulla memoria della Comunità  perviene con la sua narrazione ad un risultato gradevolissimo, capace di accompagnarci con studiata lentezza e  perfetta straniazione alla scoperta di fatti e personaggi che tornano a vivere in un tempo sapientemente rievocato.
I personaggi tornano alla ribalta di questa letteratura della memoria con l’incedere di una narrazione che si fa  testimone del passato e della sua ricostruzione. Ne risulta un lungo racconto animato da  storie,  aneddoti, mitologie pientine e paesaggi lontani : un melting-pot  narrativo che  riesce a riportare chi legge o chi ascolta ad una realtà vissuta,  palpitante e  rievocativa.  Uomini,  animali e cose  sono parte inscindibile di un paesaggio  umanizzato,  elementi di una  semplicità antica. Una realtà per molti di noi sconosciuta, fatta di abitudini parche, di gestualità misurata, di  eloquenza proverbiale. Tutto ciò a conferma del fatto che, nel tempo in cui la maggior parte delle persone si esprimeva poco con la scrittura , sapeva invece usare la forza corrosiva e la potenza immaginaria della parola, con consumata abilità.
Un’ attenzione particolare non si può non dedicare alla lingua, ovvero al lessico pientino, che in questo libro di racconti costituisce a mio avviso l’elemento centrale dell’opera, capace di unificare  tutto ciò che solo apparentemente appare suddiviso in episodi e personaggi  diversi, ma che in realtà è parte di uno stesso  universo. Pagina dopo pagina i racconti si legano l’uno all’altro in una sapiente catena narrativa,  si susseguono in una lingua che, anche laddove appare  inevitabile l’introduzione o la giustificazione storica, finisce  per amalgamarsi con la voce dei personaggi in un ‘unicum’ lessicale:  autentica letteratura vernacolare. La ricchezza lessicale è quel lascito importante che una generazione trasmette ad un'altra e consente  ad un contesto comunitario di non perdere mai la sua identità e il suo spirito di appartenenza. In questo senso il Prof. Gilberto Ravagni ha potuto mettere a frutto la sua lunga esperienza di  conoscitore di questa lingua,  frutto della  frequentazione delle crete e dei poderi nell’età mezzadrile, della sua esperienza nella scuola,  e di frequentatore del paesaggio agrario pientino.

Dalla lettura dei ‘Racconti pientini’ emerge  anche un ultimo aspetto interessante che tocca la nostra comunità,  in un’epoca  della quale molti di noi conservano un chiaro ricordo : la gestualità dell’era preconsumista, l’umana gestualità del ‘tempo delle lucciole’ di cui si è perduta memoria, o meglio degli anni che hanno preceduto il boom economico.  Le persone di quell’epoca, fossero esse stesse di origini umili o borghesi, avevano in comune un elemento caratteristico del loro incedere, del loro passare il tempo, del loro modo di lavorare, caratterizzato dalla ‘lentezza’ e dalla semplicità del gesto. Non è facile oggi spiegare che cosa intendere per gestualità lenta, ma si potrebbe ricordare con commozione  che ogni semplice gesto del quotidiano, dal modo di mangiare o  di riposarsi o di vangare o di scrivere, veniva compiuto con studiata lentezza.   Atteggiamenti di corpi e menti che non erano   ancora stati  condizionati  dalla frenesia della contemporaneità. Non ancora bombardati  delle informazioni o dalle sollecitazioni della tecnologia,  non ancora travolti dal ritmo  della civiltà post-industriale, si esprimevano con la naturale e poetica lentezza della parola e del gesto,  con cui rivelavano la loro schietta umanità.
Un affettuoso complimento e un applauso sincero merita dunque il lavoro di recupero della memoria del Prof. Gilberto Ravagni, che con un così sentito impegno civile,  ha restituito un autentico patrimonio linguistico e culturale alla nostra Comunità.

Fabio Pellegrini

1 commento:

Anonimo ha detto...

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