Un anno fa, il 12 e 13 giugno, 27 milioni di italiani sancirono che l’acqua è un bene comune e non può essere privatizzata. Dopo una campagna elettorale che aveva suscitato la partecipazione di migliaia di cittadini, organizzati in comitati territoriali, gli italiani espressero una volontà chiara: il no alla privatizzazione sia dell’acqua che di tutti i servizi pubblici locali e l’abolizione di una quota del 7 per cento delle bollette riservata ai profitti. Un anno dopo il governo Monti ha riportato tutti con i piedi per terra. Anzi, sotto terra. Il decreto “Crescitalia” di marzo ha aperto la strada alla privatizzazione dei servizi pubblici e ha imbrigliato le municipalizzate dentro il patto di stabilità interno. Obbligando le aziende pubbliche che gestiscono il servizio idrico al rispetto di rigidi parametri di spesa. Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, inoltre, ha predisposto lo scorso aprile un decreto che affida le competenze sulle tariffe dell’acqua all’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Insomma, è alto il rischio che la rivoluzione gentile dello scorso anno venga dimenticata. Il 2 giugno il Forum dell’Acqua ha convocato una manifestazione nazionale a Roma, per chiedere il rispetto della volontà popolare espressa dal referendum. Tra le sirene liberiste del governo e le proteste dei comitati, gli enti locali sono in mezzo al bivio. Dalle grandi città ai piccoli Comuni proviamo a capire se il referendum ha prodotto i suoi effetti. O se il mercato, uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra.
4 commenti:
Si sa che il fascismo non è sempre nero..
Bella democrazia in Italia chissà perchè Napolitano questa volta sta zitto!!!!?
Si certa gente con il Referendum popolare ci si pulisce il classico culo. Ma poi alle elezioni ci si rivede!!!
Si i politici dei partiti sono così O Vincono loro..oppure vincono lo stesso!!!!
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