mercoledì 18 gennaio 2017

'Apologhi': di Furio Durando

Furio Durando

La tela di Domenico Manetti a Torrita di Siena:
un apologo sulla parola divina

È trascorso un mese dalla collocazione della grande tela barocca di Domenico Manetti, raffigurante la Madonna col Bambino e i SS. Giovanni Battista, Stefano, Bartolomeo e Gerolamo, nella chiesa delle SS. Flora e Lucilla, sempre più splendida galleria d’arte sacra, dopo il restauro finanziato dal Club Torrita Ricordi e condotto da Luca Bellaccini. Nella circostanza il professor Marco Ciampolini, autore di un monumentale e prezioso studio sulla pittura senese del Seicento, definì l’opera fra i migliori prodotti di un figlio d’arte (il padre di Domenico fu il più celebre Rutilio Manetti) che non sempre brillò per inventiva e qualità. In effetti, il dipinto presenta un’armonia compositiva di raro equilibrio fra visione, tensione estatica e fisicità, quest’ultima resa con senso della materia sia negli incarnati che nelle splendide stoffe, fra le quali spicca la dalmatica di S. Stefano, sulla sinistra, sotto la quale spunta una bianca sottoveste di lino corrugata da pieghe di virtuosistica esecuzione. Nuvole soffici come bambagia sorreggono la corporeità plastica ma priva di peso dei personaggi.
Il tema è assai comune: la Vergine appare fra piccoli angeli festanti, offrendo il figlio all’adorazione di uno o più testimoni della fede. A ben guardare, però, il quartetto di santi è insolitamente assortito e, benché sia impossibile al momento stabilire se la scelta dei personaggi sia stata dettata da un committente particolarmente esperto di dottrina oppure ispirata da riferimenti più personali, merita attenzione perché l’opera sembra incentrata sul tema della Parola.
In ordine generazionale, primo viene quello che gli ortodossi chiamano Pròdromos, il Precursore: il Battista, cugino del Cristo. La sua attività di predicatore e nunzio della venuta del Messia simboleggia la parola proclamata, cioè portata innanzi agli uomini e proferita per conto di Dio, della cui verità l’ultimo profeta fu mediatore. La sua parola è frutto dell’ispirazione divina, che è infusione prorompente di sapienza e necessita di un tono alto.
Secondo è l’apostolo Natanaele, detto Bartolomeo. Egli può essere considerato icona della parola che dubita, ascolta, crede e tace. Le sole parole attribuitegli durante l’esperienza con Gesù sono riportate nel Vangelo di Giovanni (1, 45-51): il dubbio sul fatto che da Nazareth possa “venire qualcosa di buono” ne evidenzia l’ironia, ma il sentirsi riconosciuto dal Cristo come israelita che non porta falsità nell’anima – perché chi ha il coraggio di non tenere i dubbi nel cuore e di esprimerli non pratica un doppio pensiero – gli infonde la subitanea grazia della fede. Da quel momento piomba in un silenzio che s’interrompe solo dopo la diàspora degli apostoli, con un’intensa opera di predicazione che – secondo leggende di discussa attendibilità – ne causò la morte (fu scorticato vivo). Parola taciuta, dunque, nel suo formarsi sotto la guida di Gesù; e poi portata con coraggio e senza falsità fra i pagani. Parola che annuncia, quella del Battista; parola che conferma, quella di Bartolomeo. Ed è parola che nasce dalla dottrina, quindi richiama la necessità del silenzioso apprendimento.
Stefano, il protomartire le cui vicende sono narrate negli Atti degli Apostoli (6 e 7), è simbolo della parola letta e meditata: egli è un ebreo di nome e cultura ellenistici, un giovane intellettuale convertito al Cristo (non a caso è rappresentato con gli abiti da diàcono e spesso con un libro, come nella tela del Manetti) che propaga la verità del suo messaggio radicando la parola nella pagina scritta: essa richiama la necessità di una certezza oggettiva, perché la testimonianza sia più forte della stessa vita.
Di Gerolamo, Padre e Dottore della Chiesa, figura di capitale importanza per la cultura cristiana e occidentale, vissuto nel IV secolo, è ovviamente il ruolo di intellettuale di primaria grandezza e di autore di una quantità di opere a carattere teologico, dottrinario, storico, oltre che traduttore e interprete poliglotta, a qualificarne la presenza come simbolo della parola scritta, mossa dallo studio e dalla meditazione per dare forma e struttura comprensibili alla fuggevolezza del pensiero e della conoscenza.
Tutto questo davanti a una Vergine inquieta e malinconica, che trattiene il Bambino mentre – secondo uno schema consueto – quest’ultimo si accinge a prendere con sé la croce astile di canne palustri che il Battista gli porge, simbolo della passione e morte del Messia. Muti, a labbra serrate e sguardi pensosi la madre e il figlio – cosa abbastanza normale, non fosse per quegli angeli e cherubini che volano attorno alla coppia e, diversamente da una sterminata quantità di casi più antichi e contemporanei dell’opera del Manetti, sono pure essi a bocca chiusa. Un silenzio perfetto per un apologo concettoso ma sintetico su una Parola che non ha senso sovrastare con canti ed espressioni di giubilo, affinché risuoni, si ascolti, si legga e si scriva con la dovuta chiarezza.


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Una lettura affascinante ,concettuale del dipinto del Manetti. Il prof. Durando è un tesoro del nostro territorio!!! Teniamocelo di conto!

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Interpretazione acuta

Anonimo ha detto...

Un po' d'intelligenza ancora prego, ci dà fiducia e voglia di affrontare il futuro. Se accendo la tv o leggo i quotidiani mi potrei suicidare!!