Per la terza volta in un anno e mezzo è costretto a sventolare le dimissioni. Ma, come nelle altre occasioni, prima di andarsene avvelena i pozzi. Fissa condizioni. Pretende di dare le carte. Si vendica. Matteo Renzi lascia la guida del Pd, ma – dice – solo dopo l’insediamento del Parlamento e dopo la formazione del governo. Quindi, qualsiasi esecutivo nascerà, i democratici non ci saranno: no al M5s, no alla Lega. E non lascia subito nemmeno la segreteria del partito: niente traghettatori, niente “caminetti”, ripete più volte, ma direttamente il congresso. Quindi posticiperà le dimissioni, come già era avvenuto lo scorso anno dopo la sconfitta al referendum costituzionale. Una presa di posizione che provoca già le prime scosse dentro al partito, come prevedibile. “La decisione di Renzi di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo” dice il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda, franceschiniano. “Le dimissioni di un leader sono una cosa seria: o si danno o non si danno – spiega in modo più chiaro – E quando si decide, si danno senza manovre”. Serve “collegialità che è l’opposto dei caminetti” e “annunciare le dimissioni e rinviarne l’operatività per continuare a gestire il partito e i passaggi istituzionali delle prossime settimane è impossibile da spiegare”. Il tono è quello dell’urlo di guerra: “In un momento in cui al Pd servirebbe il massimo di quella collegialità che è l’esatto opposto dei cosiddetti caminetti, annunciare le dimissioni e insieme rinviarne l’operatività è impossibile da spiegare. Quando Veltroni e Bersani si sono dimessi lo hanno fatto e basta. Un minuto dopo non erano più segretari”
2 commenti:
non la ingolla!!!!!!!fiuuuu fiuuuu ic ic iv ci vuole il calmante !!!
ma icchettuvvoi !! o bischero!!o buaiolo !!ma la torni a Rignao a chiappà e lucci?
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