A giugno, quando il decreto Rilancio era ancora all’esame del Parlamento, il problema era già noto. E i rappresentanti delle partite Iva lo hanno ribadito al governo durante gli Stati generali dell’Economia, ricevendo rassicurazioni che il requisito per ottenere il bonus 1000 euro di maggio sarebbe stato modificato. Invece il “test” sul calo del reddito nel secondo bimestre è rimasto identico nella versione finale della legge, con il risultato che – come da attese – tantissimi lavoratori autonomi sono stati esclusi da quell’aiuto nonostante siano in forte difficoltà a causa degli effetti del lockdown. Una beffa ancora più amara da quando è emerso che delle indennità Inps hanno fruito anche alcuni deputati e consiglieri regionali.

“Per poter chiedere i 1.000 euro era necessario dimostrare una riduzione di almeno il 33% del reddito (differenza tra ricavi e spese, ndr) nel secondo bimestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019″, ricorda Emiliana Alessandrucci, presidente del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap) e a sua volta consulente a partita Iva esclusa dal bonus. “Una logica che non tiene conto del fatto che noi incassiamo anche molti mesi dopo aver concluso il lavoro”. Dipende da quando il committente salda la fattura. Quindi per questi lavoratori non è raro aver ricevuto proprio a marzo o aprile del 2020, in pieno lockdown, il pagamento per un lavoro fatto a dicembre o gennaio. Non solo: chi a marzo e aprile 2019 per qualsiasi motivo ha incassato poco o nulla ha dovuto mettersi l’animo in pace, perché in nessun caso avrebbe potuto dimostrare un calo del 33%