L’ultima opera del ‘ciclo- agrario’ di Piero Sbarluzzi campeggia oggi in modo permanente in una parete del ristorante pientino appena nato chiamato ‘Becco Fino’ , in Via del Giglio, il primo 'ristorante-museo' pientino, che ha deciso di unire alla degustazione dei suoi piatti anche il piacere di contemplare opere d’arte. Non poteva trovare sede più opportuna l’ultima fatica di Piero, nella quale l’artista di Pienza ha superato se stesso, con una capacità narrativa densa di umanità e di passione rievocativa. L’altorilievo in cotto è realizzato con una rara potenza plastica, che ricorda l’arte degli antichi scultori robbiani e con uno studio della gestualità tipica del patrimonio culturale mezzadrile da lui ben conosciuto. Piero è riuscito a trasmetterci il momento topico della ritualità patriarcale di un podere valdorciano, attimo colto con ricchezza di intuizioni e di commovente armonia. La caratteristica principale della scultura di Piero Sbarluzzi è quella che noi pientini ben conosciamo e che riesce a tramandare in modo semplice e potente ad un tempo, la vicenda epica dell’ età mezzadrile, l’ antica convivialità, la severa condivisione del lavoro dei campi, la capacità di vivere in armonia con la natura e la produzione delle terra. FruttI di una cultura secolare, tramandata di padre in figlio, fino al secondo dopoguerra, prima dell’esodo che pose fine a questa Era fatta di cultura materiale e di povertà. Un’epoca ricca di umanità, di socialità, capace di conservare e di trasmettere una gestualità ed una lingua antica, oggi quasi scomparsa. Piero Sbarluzzi , che ha conosciuto in gioventù questa realtà, a lungo osservata dalla bottega artigiana paterna, compiuti gli studi artistici nella prestigiosa bottega di Don Coltellini a Chiusi, ha avviato da tempo la realizzazione di un grande ‘ciclo-agrario’ , ciclo narrativo di un intenso respiro epico-poetico, che non ha mai finito di stupire a affascinare gli esperti e i critici del mondo dell’arte. Ciclo scultoreo che soprattutto ha saputo interpretare la nostalgia per questo un mondo scomparso, che ha radici profonde nel cuore dei valdorciani, memori della civilizzazione agraria di cui sono stati protagonisti. Nell’opera sulla convivialità, che è entrata a far parte dell’arredo del ristorante di recente apertura, si possono ammirare vari aspetti di questa cultura citata e in essa si esprimono chiaramente i sentimenti e l’immaginario di una generazione novecentesca che dei valori legati al lavoro, alla famiglia, alla convivialità, ai riti, all’impegno sociale e alla solidarietà popolare, ha fatto per secoli la propria storia. Nei personaggi che animano nell’altorilievo il grande movimento, che donano alla ‘famiglia’ un autentico afflato vitale, quasi fissata da un fotogramma nella sequenza di vita quotidiana, si riscopre quella gestualità tradizionale che molti di noi impararono a conoscere ancora ragazzi nelle grandi cucine poderali, nelle aie delle Crete e nelle stalle valdorciane. Luoghi mitici brulicanti di uomini e di animali, entrambi uniti dall’affanno e dalla rassegnazione in un disegno umano, scandito dal ritmo implacabile delle stagioni. Come nelle teorie e nelle affabulazioni delle novelle e dei lunari, i personaggi del ciclo agrario di Piero Sbarluzzi si muovono con lentezza, si toccano il viso stanco, fissano il desco, dove sembra rispecchiarsi la loro stanchezza, si appoggiano alla tavola imbandita come ad un altare. Le donne invece hanno un’aria mesta e solenne, sono eternamente in piedi, con le braccia vicine al corpo proteso a distribuire il cibo. Le donne madri di bambini timidi ma felici partecipi della cena come di una festa. La testa reclinata e stanca e il cappello in testa, il corpo seduto sulla panca, le braccia piegate sul piatto, quasi a proteggerlo dal pericolo della povertà incombente: ecco come viene ritratto da Piero l’uomo di campagna , ovvero colui che ha vissuto, lottato e pianto su questa terra avara, prima del botto : la guerra, la ricostruzione e il boom economico, i fattori che in poco tempo travolsero tutto. Così, come i grandi pittori senesi ci tramandarono negli affreschi antichi il paesaggio agrario e umanizzato delle Crete nei secoli del Medioevo e dell’Età Moderna, il lavoro di artisti come Piero e di altri celebri pittori e scultori di questa terra, contribuisce oggi a fissare in opere fondamentali per l’arte sì, ma soprattutto per la memoria e per la storia, la testimonianza viva di un recente passaggio . Quella di una civiltà così vicina, ma divenuta anche così lontana, da far affiorare in noi, posti di fronte a opere come questa, impressioni ed emozioni legate intimamente alla nostra vita. Se quello dell’arte contemporanea è compito nobile ed ingrato nel continuare la sua ricerca, percorrendo strade sempre più ardite, è ancora affidato all’arte, così come alla letteratura, il compito di ‘testimoniare’, di conservare, di ‘documentare’ e di raccontare i momenti non troppo lontani che hanno dato un senso alla nostra vita. Non basta neppure la storiografia e la ricerca a raccontare un’epoca, non basta la cronaca giornalistica, serve oggi sempre di più, che un artista capace di registrare e trasmettere sentimenti, emozioni, passioni, gioie e dolori di un popolo, possa esprimersi
4 commenti:
un aapplauso !
grande Piero..
bello, un pezzo di storia vera
veramente bello... per chi ha vissuto la Valdorcia.....!!!....
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