La revoca delle misure cautelari per chi è sottoposto a una richiesta di estradizione «è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta». In ogni caso, la decisione finale sull’estradizione spetta solo al guardasigilli.
Non è un’informazione segreta e sensibile, di quelle che a pubblicarle sui giornali si rischia di rovinare manovre diplomatiche e mettere a rischio la sorte di qualcuno. È il Codice di procedura penale: materiale pubblico, facilmente reperibile.
È anche la risposta all’interrogativo che il governo si pone trafelato da oltre 15 giorni, prima con massima discrezione e sottovoce, poi con frenesia un po’ isterica, da ieri di nuovo zitti zitti perché altrimenti si fa danno: come chiudere presto e bene la drammatica vicenda di Cecilia Sala, riportando a casa la nostra collega.
Se la liberazione di Cecilia Sala è indissolubilmente legata a quella di Mohammad Abedini, la via maestra per ottenerla, l’unica sicura, la sola accettabilmente rapida, è una decisione tempestiva e coraggiosa non del solo ministro della Giustizia ma del governo e dunque, in primo secondo e terzo luogo, di chi lo presiede. Nella politica sia nazionale che internazionale temporeggiare è spesso consigliabile. Qualche volta capita che sia invece necessaria la drasticità e in quei casi nessun leader politico è mai felice. Però capita.
Affermare che la materia è competenza della magistratura non è una menzogna ma è una di quelle verità adoperate come scudo e usbergo. Certo la magistratura deciderà sull’estradizione ma con i suoi tempi e sono lunghi: istruttoria, appello, Cassazione. Se non sono anni sono mesi. Parecchi. L’Iran non ha fretta. Il diplomatico svedese Johan Floderus è rimasto in carcere due anni prima di essere scambiato con Hamid Nouri, condannato all’ergastolo per un massacro da migliaia di vittime. L’operatore umanitario belga Olivier Vadecasteele ha scontato un anno e passa prima di uscire in cambio della liberazione del diplomatico condannato per terrorismo Asadollah Assadi. Ma c’è anche chi ha aspettato in carcere 5 o 6 anni prima che venisse individuata la moneta di scambio.
Almeno su questo, per la verità, il governo sembra avere le idee chiare: bisogna fare presto, anticipare l’insediamento di Donald Trump. Con lui alla Casa Bianca tutto diventerebbe più difficile. Non è che manchi molto: due settimane o poco più.
Se il codice assegna al ministro ogni decisione finale in materia d’estradizione non è per capriccio. È perché la materia è sempre e comunque essenzialmente politica. Invocare la magistratura è un mettersi al riparo. Ma anche da quel punto di vista il guardasigilli, e la premier che di fatto ha la più sonora voce in capitolo, avrebbero argomenti solidi.
Il traffico per cui Mohammed Abedini è finito in manette si è svolto alla luce del sole, non lungo i percorsi oscuri dei trafficanti d’armi. Pesa per la giustizia degli Usa la destinazione: i Guardiani della Rivoluzione, organizzazione terrorista su quella sponda dell’Atlantico ma non su questa, né per l’Italia né per l’Europa. Non è un giudizio di merito sui Guardiani o su Abedini. È anche questo un principio legale che regola l’estradizione, quello della «doppia incriminazione». Richiede che «il fatto posto in essere dall’estradando sia penalmente illecito sia per l’uno che l’altro Stato». Per chi chiede l’estradizione e per chi deve concederla.
La controindicazione è chiara. Agli Usa una scelta del genere non farebbe piacere. È assolutamente normale, pienamente comprensibile, che a qualsiasi governo italiano, di destra sinistra o centro, spiaccia spiacere a Washington. Non ne fu lieto neppure Bettino Craxi ma al momento giusto, a Sigonella, seppe non esitare. Il leader socialista, decisionista e “patriottico” com’era, aveva grandi difetti ma anche qualche dote. Non ci sarebbe nulla di peggio di una leader con i suoi difetti ma senza le sue dot