L’Italia chiamò: e a Marco Vizzardelli, loggionista da decenni, alla fine dell’Inno di Mameli suonato prima della Prima della Scala, è venuto naturale gridare “Viva l’Italia antifascista“, motto che è risuonato in tutta la sala avvolta nel silenzio dell’attesa delle prime note del Don Carlo di Giuseppe Verdi. Il vicepremier Matteo Salvini ha commentato che “chi viene a urlare a teatro ha qualche problema” (dando prova certificata di non sapere niente della storia del teatro lirico, dove da loggioni palchetti e platee si urla da secoli e per i più disparati motivi) e il presidente del Senato Ignazio La Russa sostiene di non averlo sentito. E invece le orecchie ce le avevano bene in funzione solerti funzionari della Digos della questura – presenti come da prassi al teatro alla Scala – che hanno identificato Vizzardelli, giornalista di 65 anni che si occupa di ippica, avvicinandolo prima dentro la sala e poi nel foyer del Piermarini. “L’ho buttata sul ridere, ho detto agli agenti che avrebbero dovuto legarmi e arrestarmi se avessi detto ‘viva l’Italia fascista’ ma così no”, ha detto all’agenzia Ansa Vizzardelli