Nudi, al freddo, senza pudori: la Roubaix va scontata fino in fondo. Non tutti arrivano (appena 95 su 174 nel 2021, l’anno santo di Sonny Colbrelli), ma una volta approdati al velodromo c’è un altro rito collettivo a cui non si può sfuggire: quello delle docce. La Roubaix è un dramma fin dopo il traguardo. Il viaggio all’Inferno non finisce né sul podio né sotto l’acqua bollente dei bus superaccessoriati dei team del World Tour, ma un centinaio di metri più in là.

C’è questo cubo di cemento, tozzo, disadorno, a cui nessuno sembra aver messo mano da quando fu costruito negli anni Venti del secolo scorso. È lì, in quelle due grandi stanze con i soffitti alti, non sul pavé, che i corridori ricevono questo battesimo profano e diventano qualcosa di diverso da prima.