Più di metà degli italiani è pronta a fare a meno dei partiti, senza alcun danno per la democrazia, secondo un’indagine Lapolis-Università di Urbino, di cui scrive Ilvo Diamanti su Repubblica. Era ora – nel senso che era ora ci accorgessimo che stiamo facendo a meno dei partiti da un bel po’, circa una trentina d’anni. Appartenendo alla risicata minoranza di italiani tuttora persuasi che le parole abbiano un significato, resto infatti dell’idea che un partito sia tale, di là da apparato e simbolo, se il suo nome spiega che cosa fa.
Tangentopoli ha invece fatto da spartiacque fra due mondi: uno, che oggi reputiamo antiquato, in cui al nome del partito veniva associata una caratteristica programmatica (l’essere liberale, cristiano, comunista, socialista, etc.); un altro, il radioso mondo nuovo, in cui i nomi dei partiti si tengono sul vago, ricorrendo a generiche esortazioni (Forza Italia, Italia Viva), ritornelli (Fratelli d’Italia), oscuri riferimenti iniziatici (MoVimento 5 Stelle) o tautologie (Partito Democratico), quando non denunciano clamorosamente la perdita della bussola troncando la propria ragion d’essere e presentando al pubblico un nome monco, sospeso nel vuoto, come la Lega Nord diventata Lega e basta. Gli italiani si sentono pronti a fare a meno dei partiti perché il più delle volte sanno per chi votano ma non sanno per cosa stanno votando; senza partiti, potrebbero finalmente non pensarci più.
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