sabato 16 agosto 2025

Dal Corriere della Sera- IL PALIO di Roberto Barzanti.


 Aspettando il Palio Il sogno di un’Europa, magari meno potente

ma in pace, e la Carriera come gara su cui proiettare le contese

per poi ritrovare l’armonia: così Palazzeschi scriveva della corsa

del 1938

«Qui la discordia è giuoco»


Un autore esaltato per il suo giocoso funambolismo, in prosa e in

versi, e per aver attraversate le avanguardie del Novecento

italiano col senso di un sornione divertissement come Aldo

Palazzeschi (1885-1974) non poteva non incontrare il Palio di

Siena. Fu lo stesso che Eugenio Montale ha messo in scena ne Le

Occasioni .


Ricercare comparazioni sarebbe fuori luogo. La bufera che sta per

scatenarsi costringe Irma Brandeis a salpare per l’America,

lasciando il titubante accompagnatore nella Firenze che nel

maggio 1938 aveva assistito con obbligata piaggeria alla visita di

Hitler «messo infernale»; mentre spumeggiante di immagini

bizzarre è l’affollata città e la concava piazza teatro della carriera

senese. «Agli sbocchi delle vie — annota Palazzeschi nel diario

steso per l’Almanacco dei Visacci 1938 –XVI (Vallecchi, Firenze) —

delle finestre, dalle logge, ai balconi, fin sull’orlo dei tetti alti, la

siepe umana rigurgitava». A rileggerle oggi quelle pagine, che si

soffermano su strani dettagli e su simboli viventi di una nobile

araldica ci si accorgerà che sarebbe riduttivo non scovare, sotto il

velo della leggerezza, riflessioni civili e una tensione ideale che


sorge dalle ferite di una storia crudele. «Dietro la leggerezza

palazzeschiana — ha osservato Gino Tellini — s’intravedono il

piacere di vivere, la speranza e la fiducia in un mondo migliore».

La Grande Guerra aveva distrutto i sogni di tanti giovani. In un

testo tra i meno conosciuti, Due imperi …. mancati (1920), il

saltimbanco non fa mistero del dolore di chi aveva creduto

nell’edificazione di una nuova età. E il tema sarà oggetto dei

seriosi capitoli di un volume ingiustamente trascurato: Tre imperi

mancati Cronache 1922-1945 (1945). Che si conclude con

un’esortazione: rivolgendosi ai giovani se n’esce in una tirata non

esente da accenti retorici: «Si tratta di ricominciare. Ricostruito il

paese dalle rovine dovete creare lo Stato coi suoi cittadini.

Dovete iniziare questo travaglio per il quale né la vostra

generazione, né quella dei vostri figlioli e dei vostri nipoti

possono bastare».


Un Palazzeschi dialogante e centrista in politica, filoroosveltiano,

pacifista. Che c’entra questa (apparente) divagazione introduttiva

con la lezione avvertita nel tumulto di un’aspra tenzone tra

Contrade rivali, che alla fine si ritrovano unite in uno sfrenato

trionfo? Palazzeschi ci informa che nei giorni precedenti la

contesa nel Campo si era aggirato per i quartieri di Siena. È

evidente che nel riferire abbia fuso due edizioni o interpolato con

immissioni fuori tempo. Sta di fatto che a vincere è la Chiocciola. I

favoriti erano Pantera e Tartuca, rione dove a Palazzeschi era

capitato di soggiornare. I cavalli migliori, Folco e Ruello, erano

toccati in sorte alle due Contrade. Arrivò in testa Sansano guidato


dall’umbro Tripolino, un venticinquenne che aveva all’attivo sei

allori. Nell’immaginosa cronaca le figure del bestiario delle

Contrade personificano i vari territori. L’urbanistica animalesca

allude agli scontri tra Stati, alle liti di confine. Ma ciò che colpisce

l’autore è che il furbesco armeggiare che oppone i protagonisti

non smentisce la socievolezza comunitaria. E il giorno dopo, sul

treno per Firenze, Palazzeschi estrae gli aspetti ironici di un luogo

che serba qualcosa di miracoloso: «dove i più schietti parlatori

d’italiano giuocano con tanta grazia alla discordia, astutamente

solleticando l’istinto profondo che dorme nell’uomo o

sonnecchia». Si insinua nel ripensamento di giornate tanto

eccezionali la prospettiva che unisca un’Europa in pace al declino

del suo potere: «Verrà un giorno, fra mille o duemil’anni,

diecimila, e per virtù di saggezza, o dì esaurimento, sarà l’Europa

in pace: Europa non più».


Sul finire degli anni Trenta l’Europa appariva un puzzle

incomponibile, uno spazio non più in grado di sfoderare

un’egemonica soggettività. Ne sarà ancora pronunciato il nome,

ma fino a che punto risponderà a una realtà concreta? Le

inimicizie di un tempo non avranno più senso. A un tratto il

visitatore illuminato sogna che le bandiere della Tartuca

svolazzino carezzando quelle della Chiocciola: figura del tutto

improbabile! Per tranquillizzarsi l’indagatore promeneur volle

scendere in una quasi deserta Fontebranda, dove nacque Santa

Caterina. [Invenzione pura di un mix libero, dal momento che

l’Oca non correva e quindi non si autoaccusava di alcun


rimprovero]. «Da una finestra bassa partì — confessa il fiorentino

— una frase che interruppe la mia curiosità: ‘c’è qualcuno che ha

voglia di pigliarsi due ceffoni stasera’, disse netto una donna

rivolta a me. Finsi … di sventolarmi … avevo caldo, sì … e come

niente fosse risalii lesto lesto la Contrada». Un tocco di

malinconia aveva spento i fragori di un fremente ammasso

umano riconducendo l’eccitazione alla scherzosa minaccia di un

giorno feriale.


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