Aspettando il Palio Il sogno di un’Europa, magari meno potente
ma in pace, e la Carriera come gara su cui proiettare le contese
per poi ritrovare l’armonia: così Palazzeschi scriveva della corsa
del 1938
«Qui la discordia è giuoco»
Un autore esaltato per il suo giocoso funambolismo, in prosa e in
versi, e per aver attraversate le avanguardie del Novecento
italiano col senso di un sornione divertissement come Aldo
Palazzeschi (1885-1974) non poteva non incontrare il Palio di
Siena. Fu lo stesso che Eugenio Montale ha messo in scena ne Le
Occasioni .
Ricercare comparazioni sarebbe fuori luogo. La bufera che sta per
scatenarsi costringe Irma Brandeis a salpare per l’America,
lasciando il titubante accompagnatore nella Firenze che nel
maggio 1938 aveva assistito con obbligata piaggeria alla visita di
Hitler «messo infernale»; mentre spumeggiante di immagini
bizzarre è l’affollata città e la concava piazza teatro della carriera
senese. «Agli sbocchi delle vie — annota Palazzeschi nel diario
steso per l’Almanacco dei Visacci 1938 –XVI (Vallecchi, Firenze) —
delle finestre, dalle logge, ai balconi, fin sull’orlo dei tetti alti, la
siepe umana rigurgitava». A rileggerle oggi quelle pagine, che si
soffermano su strani dettagli e su simboli viventi di una nobile
araldica ci si accorgerà che sarebbe riduttivo non scovare, sotto il
velo della leggerezza, riflessioni civili e una tensione ideale che
sorge dalle ferite di una storia crudele. «Dietro la leggerezza
palazzeschiana — ha osservato Gino Tellini — s’intravedono il
piacere di vivere, la speranza e la fiducia in un mondo migliore».
La Grande Guerra aveva distrutto i sogni di tanti giovani. In un
testo tra i meno conosciuti, Due imperi …. mancati (1920), il
saltimbanco non fa mistero del dolore di chi aveva creduto
nell’edificazione di una nuova età. E il tema sarà oggetto dei
seriosi capitoli di un volume ingiustamente trascurato: Tre imperi
mancati Cronache 1922-1945 (1945). Che si conclude con
un’esortazione: rivolgendosi ai giovani se n’esce in una tirata non
esente da accenti retorici: «Si tratta di ricominciare. Ricostruito il
paese dalle rovine dovete creare lo Stato coi suoi cittadini.
Dovete iniziare questo travaglio per il quale né la vostra
generazione, né quella dei vostri figlioli e dei vostri nipoti
possono bastare».
Un Palazzeschi dialogante e centrista in politica, filoroosveltiano,
pacifista. Che c’entra questa (apparente) divagazione introduttiva
con la lezione avvertita nel tumulto di un’aspra tenzone tra
Contrade rivali, che alla fine si ritrovano unite in uno sfrenato
trionfo? Palazzeschi ci informa che nei giorni precedenti la
contesa nel Campo si era aggirato per i quartieri di Siena. È
evidente che nel riferire abbia fuso due edizioni o interpolato con
immissioni fuori tempo. Sta di fatto che a vincere è la Chiocciola. I
favoriti erano Pantera e Tartuca, rione dove a Palazzeschi era
capitato di soggiornare. I cavalli migliori, Folco e Ruello, erano
toccati in sorte alle due Contrade. Arrivò in testa Sansano guidato
dall’umbro Tripolino, un venticinquenne che aveva all’attivo sei
allori. Nell’immaginosa cronaca le figure del bestiario delle
Contrade personificano i vari territori. L’urbanistica animalesca
allude agli scontri tra Stati, alle liti di confine. Ma ciò che colpisce
l’autore è che il furbesco armeggiare che oppone i protagonisti
non smentisce la socievolezza comunitaria. E il giorno dopo, sul
treno per Firenze, Palazzeschi estrae gli aspetti ironici di un luogo
che serba qualcosa di miracoloso: «dove i più schietti parlatori
d’italiano giuocano con tanta grazia alla discordia, astutamente
solleticando l’istinto profondo che dorme nell’uomo o
sonnecchia». Si insinua nel ripensamento di giornate tanto
eccezionali la prospettiva che unisca un’Europa in pace al declino
del suo potere: «Verrà un giorno, fra mille o duemil’anni,
diecimila, e per virtù di saggezza, o dì esaurimento, sarà l’Europa
in pace: Europa non più».
Sul finire degli anni Trenta l’Europa appariva un puzzle
incomponibile, uno spazio non più in grado di sfoderare
un’egemonica soggettività. Ne sarà ancora pronunciato il nome,
ma fino a che punto risponderà a una realtà concreta? Le
inimicizie di un tempo non avranno più senso. A un tratto il
visitatore illuminato sogna che le bandiere della Tartuca
svolazzino carezzando quelle della Chiocciola: figura del tutto
improbabile! Per tranquillizzarsi l’indagatore promeneur volle
scendere in una quasi deserta Fontebranda, dove nacque Santa
Caterina. [Invenzione pura di un mix libero, dal momento che
l’Oca non correva e quindi non si autoaccusava di alcun
rimprovero]. «Da una finestra bassa partì — confessa il fiorentino
— una frase che interruppe la mia curiosità: ‘c’è qualcuno che ha
voglia di pigliarsi due ceffoni stasera’, disse netto una donna
rivolta a me. Finsi … di sventolarmi … avevo caldo, sì … e come
niente fosse risalii lesto lesto la Contrada». Un tocco di
malinconia aveva spento i fragori di un fremente ammasso
umano riconducendo l’eccitazione alla scherzosa minaccia di un
giorno feriale.
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