Il calo degli occupati registrato dall’Istat a dicembre potrebbe non fare testo: le fluttuazioni dei dati mensili sono la norma e le stime sono soggette a errori. Quello che davvero preoccupa chi studia le prospettive del mercato del lavoro italiano è un problema cruciale che tende a rimanere sottotraccia. La demografia. Che nei prossimi dieci anni impoverirà inesorabilmente la fascia centrale di popolazione, quella tra i 40 e i 44 anni, all’apice della vita attiva e della produttività. Quella che dovrebbe sostenere e trainare la crescita del Paese. Nello scenario peggiore, l’Italia potrebbe ritrovarsi con un milione di occupati in meno in quella classe di età: un crollo del 30%, senza precedenti, che metterebbe a dura prova non solo il mantenimento degli attuali livelli di benessere ma anche la sostenibilità del sistema di welfare.

A scoprire quello che definiscono il “buco nero nella forza lavoro” sono stati il demografo Alessandro Rosina e il ricercatore di diritto del lavoro Mirko Altimari, in un paper realizzato nel 2019 per il Laboratorio futuro dell’Istituto Toniolo. L’allarme rosso si accende fin dalle prime pagine: finora, avvertono, l’aumento della popolazione anziana è stato sorretto da una presenza solida di popolazione nell’asse portante dell’età attiva. Ma ora entriamo in una fase in cui, in parallelo, “le classi centrali lavorative andranno progressivamente a indebolirsi come mai in passato“. E pure in questo l’Italia sarà maglia nera in Europa, sia perché qui il crollo delle nascite è stato più accentuato e ora iniziamo a sentirne gli effetti sia perché il tasso di occupazione dei 30-34enni italiani è più basso di oltre 10 punti rispetto alla media Ue. Peggio, manco a dirlo, va solo in Grecia.

I 30-34enni sono pochi. E tra loro ci sono meno occupati – Ma in cosa consiste il “buco nero” descritto da Rosina e Altimari? E’ l’ammanco di lavoratori nella fascia di età più produttiva che si registrerà mano a mano che gli attuali 40-44enni occupati vengono “sostituiti” da coloro che oggi hanno 30-34 anni. I problemi sono due: innanzitutto i Millennials, nati quando il crollo della natalità era ormai conclamato, sono molti di meno rispetto ai fratelli maggiori: circa 1,1 milioni in meno rispetto agli attuali 40-44enni. Poi, il loro tasso di occupazione è molto inferiore a quello dei 30-34enni di dieci anni fa, che oggi sono la fascia per la quale il tasso è più elevato. Il paper, che utilizza dati del 2017, riporta un tasso pari al 67,9% contro il 74,8% dei 40-44enni. Gli ultimi dati Eurostat (terzo trimestre 2019) sono rispettivamente al 69,1% e 75,2%: si tratta comunque di 6 punti di differenza. A questo va aggiunto che i trentenni italiani sono meno formati dei coetanei europei: poco più di uno su cinque è laureato, contro una media Ue vicina al 40%. Non basta: nella classe 30-34 anni c’è pure un 29% di “Neet” maturi. “Ex giovani” che non studiano né lavorano.
Per ridurre il “buco” più immigrazione e meno fuga di cervelli – Tra dieci anni, dunque, questa generazione “debole” – sia dal punto di vista demografico, sia per formazione sia in termini di partecipazione lavorativa – prenderà il posto dell’attuale zoccolo duro del mercato del lavoro. Con conseguenze preoccupanti. La ricerca disegna tre diversi scenari. Il primo è il meno favorevole: ipotizza che il saldo migratorio netto sia nullo, cioè gli arrivi di migranti bastino appena a compensare la fuga dei nostri trentenni, e che il tasso di occupazione resti più o meno invariato. In quel caso, i 40-44enni di domani sarebbero 1,1 milioni in meno rispetto a quelli di oggi e gli occupati in quella fascia di età calerebbero a 2,35 milioni: circa un milione in meno rispetto alla situazione attuale. Lo scenario mediano fa perno su un aumento dell’immigrazione e una riduzione dell’emigrazione dei giovani italiani in grado di portare gli attuali 30-34enni a circa 3,6 milioni, contro i meno di 3,4 milioni che si contano oggi. In più presume un incremento del tasso di occupazione a più del 76%. Se queste tre condizioni si verificassero, gli occupati calerebbero “solo” del 20%, cioè si perderebbe un lavoratore su 5 in quella fascia. Per mantenere costante il numero di occupati quarantenni, bisognerebbe immaginare un’evoluzione davvero brillante dell’economia italiana, con un balzo dell’occupazione dei trentenni a un tasso vicino al 95%. “Non impossibile, ma molto inverosimile“, commentano gli autori.